“L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà”. Ora, ricorderai bene, a meno che tu non sia un (young) signorino, questo discorso del ’94. Bene, tra accettare e amare ne corre. Io non amo l’Italia, tanto meno gli italiani. È colpa (o merito, dipende) dei miei genitori, se da piccolo avevo già questa visione internazionale (globalizzata è un termine abusato) rischiando di scivolare più volte nell’esterofilia più incallita.

L’Italia è il paese che non amo, sono onesto. Il luogo è davvero bello, a tratti incantevole, ma non mi ha mai interessato così a fondo. E l’ho girato tutto, soffermandomi. Non ho preconcetti ma, se posso, quando posso, faccio le valigie e vado oltre confine. In 52 anni penso di aver fatto 4-5 volte le ferie qui. L’Italia è il paese che non amo perché non amo i paesi. Guardo il territorio, quella sua forma unica, la sua cultura, con fare tecnico e pratico ma con poco trasporto, solo con studio. Bene, non amo l’Italia e mai amerò gli italiani, non li capisco e in oltre mezzo secolo ho provato a entrare in empatia con loro. Però mai mi sono riconosciuto nel loro provincialismo, nel loro stile, nel loro modo di vivere. Non si tratta di contare gli scheletri dell’armadio, li hanno tutti, chi più e chi meno. Tuttavia, viaggiando sin da piccolo, mi sono accorto che gli italiani di certe usanze ne fanno un vanto. Le tasse di pagare, la fila da saltare, il flusso di lavoro da gestire seriamente, tutte cose che gli italiani sono i primi a dirti di rispettare e invece no, ignorano.

Casistica. Buona parte, la maggior parte, si dimostra furba e sappiamo benissimo che la furbizia è il surrogato dell’intelligenza. Bene, non sto facendo paragoni con altre nazioni o altre popolazioni, ma io non mi sono mai sentito furbo. Mai. Nemmeno quando ho pensato di esserlo, quando ho provato a essere disonesto senza risultati e subito assalito da un forte disagio. L’Italia è il paese che non amo ma che rispetto. Rispetto più il territorio che la sua popolazione, più il suo contenitore che il suo contenuto, perché mi ospita e mi ha sino a oggi ospitato e domani chissà.

Che ci siano voglie soffuse di sovranismo o sbalzi di passione tricolore a causa di un virus, non sventoleró il tricolore da un balcone. Come non farò mai pubblicamente beneficenza. Sono atti personali e sono pudico, riservato, fintamente aperto a snocciolare i cazzi miei. Io questa bandiera me la sono trovata addosso nel 1968 ma dire che la amo, come voi, neo nazionalisti, no. Non la amo. Amo quello che mi fa battere realmente il cuore e che è ben altro, sta tra le mura domestiche. Tuttavia, ho capito una cosa, in 52 anni di mancata evoluzione italiana: che il Bel Paese non ce la farà mai. Né ad affermarsi nel mondo né a morire. È un luogo, questo, unico e non per questo da amare. Ma unico. Che non vive: sopravvive. Per questo sopravviverà anche a questo flagello.