Non mi sento più di appartenere alla categoria dei giornalisti. Almeno, non a quella odierna. Mi tengo il tesserino e i miei 29 bollini del rinnovo annuale, che sanno tanto di Italia affossata dalla burocrazia, perché sono un feticcio e io sono un collezionista di tutto. Mi tengo anche il mio modo didascalico e metodico di lavorare e di stare lontano dal click-baiting, grande mammella a cui tutti ormai vanno a nutrirsi, come nei bozzoli di un grande Matrix, super seno che alimenta l’ego dei frustrati (come non esserlo in un’era lontana anni luce da Gutenberg?) e dopa l’autoreferenzialità.
Non definitemi più giornalista, no, per favore, non chiamatemi più così, anche perché di giornali ce ne sono sempre meno e di blog e portali sempre più; e non mi sento né un blogger né un… portalista. Soprattutto, non ho vent’anni. Scrivo libri, ma uno al quinquennio, quindi è esagerato anche chiamarmi scrittore.

Comunico, a mio modo, e facendolo col cuore metto in contatto persone e creo relazioni spesso tra addetti ai lavori. Inconsciamente, è diventato il mio lavoro: mio cognato, da buon madrelingua, ha detto che in realtà sono un… dot connector, uno che unisce i puntini, che mette in collegamento le persone. Non so se questa mansione esista, tuttavia mi piace. Ecco, se, come me, ti piacciono le definizioni, la prossima volta che mi presenti a qualcuno puoi fare così: “Ciao, lui è Riccardo Sada, un caratteraccio. Fa il #dotconnector ed è un passionale, un falso intellettuale, uno normale vestito da hipster, un curioso di natura mascherato da nerd”.

Cosa voglio vedere al MIR 2025

Tra pochi giorni, domenica per l’esattezza, mi perderò tra gli stand del quartiere fieristico di Rimini avvolto da luci laser, bassi che scuotono il pavimento

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