La roba scritta o pensata da altri è l’accettazione delle caramelle da uno sconosciuto. Non credere mai a fonti terze, è il mio pensiero. Il deep web, le fake news e l’informazione odierna passano tutte da pie illusioni. Faccio il giornalista da 32 anni, ormai ho il callo, arrivo dalla vecchia stampa, dalle rotative, dai dimafoni e sono entrato in punta di piedi nell’era dell’informazione scritta da blogger che fanno leva sulle debolezze e le incertezze altrui. Vivo di indagini, a costo anche di prendere mazzate e ne ho prese non solo morali. Ma mi tengono vivo. Scoperte vissute sulla mia pelle, storie ascoltate e viste di persona magari a fianco di coloro che le hanno scritte.
Il mio è un lavoro unico, che mi ha allargato orizzonti e creato possibilità, messo in contatto con un infinito universo di persone che col tempo ti fanno diventare un po’ classista e un po’ no. E quando vedo i reporter delle nuove generazioni mi incupisco e preoccupo non di loro ma di quello che avranno fatto per l’informazione, anche perché poi troppi sono schiavi di un mutuo e dei piani alti e la libertà ha sempre un prezzo.
Un lontano giorno, il mio caro amico e datore di lavoro Gianfranco Bortolotti mi disse: “Vedi, Sada, voi giornalisti siete a un bivio, o veline di un regime, passacarte di uffici stampa e individui a una scrivania intenti a tradurre e interpretare notizie altrui, oppure unici investigatori a caccia di un’unica verità. Stará a voi, che utilizzerete i nuovi media, scegliere“. E detto da uno che negli anni Ottanta chiamò Media la sua azienda, beh mi sembrò cosa plausibile e credibile, anzi fattibile. Quindi per me la rassegna stampa quotidiana passa prima da un link, poi dall’inchiostro, dell’etere ma si ferma lì dove c’è un filtro e una coscienza. E prima cosa da fare: diffidare.
Questo scritto ha comunque un senso: è un tributo, un atto da amore, un gesto passionale per la mia professione. Il giornalismo, anche quello fatto senza giornali ma con onestà, scorre forte nelle mie vene. E io lo amo fortemente.