Nella vita arriva il coccodrillo che non vorresti mai scrivere. È quello riservato a chi è più anziano di te, solitamente. La mamma, il papà. Magari mamma e papà, seppur nella loro veneranda fase, sono amati ma non altrettanto noti. Meriterebbero un “forte abbraccio” e una lettera spassionata, ma non un coccodrillo, loro. Il coccodrillo va sulle testate giornalistiche e al massimo su qualche blog, qualche social network o qualche sito, come il mio, ed è tutto per chi è famoso.
Franco Rossi, a mio modo, ma anche al suo, era famoso. Era un giornalista prima, il guru del calcio(mercato) per la carta stampata e poi in tivù. Era un amico soprattutto, perché quando qualcuno è un faro in mezzo al buio pesto, quando le cose non girano, allora non lo lasci più: entra nella tua vita e si infila sotto la tua pelle, elettrizza le tue sinapsi e anima i tuoi neuroni. Di neuroni Franco ne aveva tanti. Mal sopportava le ingiustizie e le frasi fatte: quando ne dicevo qualcuna, mi cazziava. Ma con grazia, con stile. Era il re degli ossimori e della provocazione mai fine a se stessa, era il mio unico padre professionale. “Leggi, Riccardino, leggi: solo così diventerai un vero cronista”.
Riccardino ha 45 anni e vive di questo, ora, di giornalismo, e tu, cazzo, Franco, a 69, lo hai lasciato qui a piangere su una tastiera di un Pc, con neanche un po’ di carta da macchiare, nel gelo del digitale e di un autunno tristemente uggioso. La mia vita da oggi cambia. Mancherà l’acqua per ravvivare un fiore. Sarà più grigia e priva di poesia, senza te. Quando muore un maestro di vita si perde tutto quello che si ha. Devo avere il coraggio di ricominciare da zero. Non è facile. Quante gite con te e le vacanze in giro per il mondo. Sei il ricordo più bello della mia spensierata giovinezza. Addio, amico mio. “Un forte abbraccio”, come mi dicevi sempre tu.
Milano, 30 ottobre 2013